Con Giovanni Bertola
se ne va la politica di una volta

Il ricordo

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Giovanni Bertola

Pubblichiamo di seguito un ricordo di Giovanni Bertola scritto da Renato Pasqualetti e letto (“a nome dei compagni di tanti lotte e di impegno militante”) nel corso del funerale celebrato oggi pomeriggio. Bertola, storico dirigente del Pci di Macerata, se ne è andato all’età di 86 anni. Lascia la moglie Emma, i figli Massimo e Roberto, i nipoti e tanti amici che hanno trascorso con lui  moltissimi anni di vita politica (e non solo) maceratese.

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di Renato Pasqualetti

Con la scomparsa di Giovanni Bertola si chiude un’altra pagina della storia del movimento operaio e della sinistra della nostra provincia e soprattutto tende a scomparire una figura di militante politico, che forse non si potrà mai più riprodurre nel tempo di internet e di facebook. Di quei militanti, cioè, che facevano la politica con la testa e con il cuore ma anche con le mani, dedicando praticamente tutta la loro vita alle organizzazioni in cui militavano e alle lotte per la conquista di nuovi diritti per le classi sociali più deboli e indifese.

La sua scomparsa, quindi, rappresenta una perdita civile e umana, che colpisce la comunità maceratese ed in primo luogo le organizzazioni del movimento democratico e di sinistra con cui per tanti anni ha collaborato:
dall’ANPI al Sindacato, dalle organizzazioni di categoria fino al Partito Democratico, al quale è stato iscritto fino al giorno della sua scomparsa.

La presenza di Bertola nelle organizzazioni della sinistra maceratese ha origini lontane, da quando, cioè, negli anni ’50, nel vivo delle lotte operaie, allontanato per motivi essenzialmente politici dalla Cecchetti di Civitanova Marche, iniziò un’intensa attività sindacale nelle file della FIOM/CGIL, il sindacato dei metalmeccanici.

Nel 1952, in conseguenza di uno scontro con la polizia a causa di un picchettaggio alla Cecchetti, Bertola e altri sei operai e sindacalisti furono portati in carcere di Santa Chiara a Macerata, dove restarono per due mesi, con un processo che culminò con una condanna ad 11 mesi con la condizionale, malgrado il PM avesse chiesto una sentenza molto più dura.

“Sei comunisti e un socialista: io!” dichiara con un certo orgoglio in un’intervista rilasciata a Giancarlo Liuti per il numero speciale di “57” sulla Cecchetti e i Cecchettari, pubblicato dalla Amministrazione provinciale di Macerata. Quasi a rivendicare una determinazione nella lotta non sempre comune ai socialisti, più inclini alla mediazione e all’impegno istituzionale. Tutta l’iniziativa sulla Cecchetti presa dall’Amministrazione provinciale guidata dal Presidente Silenzi: dalla mostra, al Convegno/incontro, alla rappresentazione teatrale, alla pubblicazione lo entusiasmarono e resta come ricordo in un DVD anche una sua intervista, che personalmente ritengo una testimonianza di militanza politica e sindacale esemplare.

Negli anni ’50 fu anche impegnato come amministratore al Comune di Civitanova Marche, anche se la sua preferenza sarà sempre per il lavoro militante nel sindacato e nel partito, laddove, cioè, risiedeva l’azione politica diretta.

Nacque da quegli anni il “personaggio” che caratterizzò Giovanni per tutta la vita: un uomo diretto e schietto nelle relazioni sociali ed umane; un sindacalista ed un politico sanguigno e tenace nella difesa dei diritti dei più deboli; un instancabile organizzatore, dotato di una straordinaria capacità di coinvolgere e di tenere rapporti con i vari associati delle organizzazioni in cui ha militato. Ed anche un dirigente politico che, da autodidatta, alla sua cultura politica e sindacale e all’esperienza che gli veniva dalle lotte operaie e dei lavoratori, ha sempre unito un sano realismo ed un saldo legame ai fatti concreti e alla soluzione possibile dei problemi.

Di origini operaie e tradizioni socialiste, negli anni ‘60 partecipò alla formazione del PSIUP nato dalla scissione nazionale del PSI, guidata tra gli altri da Foa e Libertini,  partito di cui fu promotore e dirigente, fino ad assumerne la Segreteria provinciale.

E’ proprio nella veste di dirigente del PSIUP che ho conosciuto Giovanni alla fine degli anni ’60, quando nella nostra città cominciavano le lotte studentesche, sfociate poi nell’occupazione dell’Università.
Lo PSIUP, in cui assieme a Bertola militavano tra gli altri Renzo Palmieri, Primo Boarelli e Tommy Nicolini, era molto attento ai fermenti giovanili, tanto che l’affitto della prima sede del Movimento Studentesco in via Santa Maria della Porta era sostenuto principalmente dalla sottoscrizione proprio dei militanti del PSIUP.

Come ricordo in alcune note che ho scritto su quegli anni, a gennaio del 1971 gli studenti che stavano occupando l’Università fecero partecipare alla loro Assemblea i rappresentanti dei sindacati e dei partiti politici della sinistra.
Per il PSIUP intervenne Giovanni, che, dopo aver salutato quelli che lui chiamava naturalmente i “compagni studenti”, li ringraziò per aver consentito la presenza delle forze politiche nell’Università, cosa fino ad allora assolutamente inconsueta. Poi, con un crescendo del tono della voce e dell’entusiasmo che gli erano propri, li ringraziò soprattutto per aver consentito a persone come lui di entrare e parlare all’Università. “A so fatto la cinque!” gridò a palmo aperto, intendendo che era andato a scuola fino alla quinta elementare “…. e a quelli come me – aggiunse – che battevano la mazza alla Cecchetti non è stato mai permesso di entrare all’Università!” consegnando così di fronte a tutti quei giovani la carta d’identità di un uomo del popolo sempre alla ricerca di nuovi diritti per le classi sociali subalterne, suscitando, ovviamente, l’entusiasmo degli occupanti, che gli fecero eco gridando lo slogan “Operai e studenti uniti nella lotta!”.

Furono, la prima parte degli anni ’70, anni molto intensi: quelli delle 150 ore all’Università con corsi dedicati insieme a studenti e lavoratori ed anche anni duri con scontri tra militanti della sinistra e della destra, durante i quali più di una volta Giovanni fu al nostro fianco assieme a rappresentanze dei lavoratori della sua Cecchetti, venuti all’Università per combattere ogni possibile risorgenza del fascismo in nome della democrazia.

Si badi bene, Giovanni era un uomo politicamente prudente, mai incline a sostenere posizioni estremiste e settarie ma quando si accendeva una lotta vera nel vivo della società, fossero gli operai o gli studenti a combatterla, in nome degli ideali di giustizia e libertà, non aveva mai un dubbio su quale fosse la parte con cui schierarsi.

Dopo l’esperienza nella FIOM/CGIL e poi nel PSIUP, quando nel 1972, a causa di un insuccesso elettorale, quel Partito dichiarò il suo scioglimento, aderì subito e senza nessun dubbio al PCI, di cui diventò funzionario e dirigente. Da allora Bertola ha sempre mantenuto l’iscrizione al partito seguendo l’evoluzione del PCI, prima nel PDS, poi nei DS ed infine nel Partito Democratico, a cui è stato iscritto fino al giorno della sua scomparsa.

Partecipò così intensamente alla vita di Partito condividendone successi ed insuccessi, momenti difficili ed altri esaltanti. Tra noi compagni frequentemente si è ricordato il particolare di un comizio indetto per lo straordinario successo del PCI nelle lezioni politiche del 1976. Giovanni, che scoppiava di gioia per il risultato ottenuto, nel presentare Valeria Mancinelli, una giovane dirigente figlia di un sindacalista recanatese scomparso pochi anni prima, dopo averlo ricordato ed averne illustrato le doti politiche ed umane, per  dire che le stesse si erano trasferite interamente alla figlia, la introdusse sentenziando, come si dice tra noi, che le querce non possono fare le melarance, ricevendo così una selva di applausi per questo modo diretto, popolare e genuino di comunicare con la gente.

Da quando alla metà degli anni ’70, finita l’esperienza dei movimenti, anch’io entrai nel PCI ci trovammo a lavorare fianco a fianco per circa 10 anni, prima nella sede di via Crescimbeni del Comitato comunale del Partito e poi nella sede della Federazione di via Mozzi. Qui, da appassionato di calcio come è sempre stato, mi parlava spesso dei successi in quello sport di suo figlio Massimo, aggiungendo con vivo orgoglio che anche lui era stato un ottimo giocatore, e che aveva giocato nella Civitanovese, un’esperienza alla quale teneva moltissimo.

Assieme a tanti compagni (Canesin, Cerquetti, Antonini, Lanzavecchia, Benfatto…. tra quelli che ci sono ancora) abbiamo organizzato il tesseramento al Partito, attività in cui Bertola era instancabile: più della metà delle tessere, quando il PCI aveva circa 800 iscritti, venivano consegnate personalmente da lui, quando si riteneva essenziale contattare gli iscritti in maniera diretta. Le diffusioni del L’Unità “casa casa” di cui Giovanni curava principalmente quella della Pace e le Fosse che erano il suo quartiere. Infine l’autofinanziamento e la sottoscrizione, che lui e noi ritenevamo essenziali per consentire al Partito una rigorosa autonomia.

Assieme abbiamo vissuto tutte le iniziative politiche ed organizzative del Partito, comprese le Feste de L’Unità durante le quali, come ricorderà Enzo Torresi che ne era tra i protagonisti, uno dei suoi scopi principali era ricavare soldi per sostenere l’attività politica. Non andava sprecata neppure una lira in un Partito come quello di Macerata, che non aveva certo la forza di quelli dell’Emilia o della Toscana. Non dimenticherò mai in questo senso i suoi burberi rimbrotti e le accuse che rivolse a noi “intellettuali” per aver chiamato a suonare a Macerata durante una festa del L’Unità il grande Severino Gazzelloni, che, dato che avevamo rimesso con lo spettacolo,  lui chiamava ironicamente “Ciufoloni”.

Tutti i “vecchi compagni” delle organizzazioni che ha diretto ed in cui ha militato non possono certo dimenticare la sua tenacia di militante politico e di organizzatore.

Né potranno dimenticare la sua solida formazione politica da sempre naturalmente riformista ed anche la sua schietta simpatia ed il suo modo diretto di vivere l’attività politica, con un pieno e generoso spirito di servizio. Assieme vivemmo la stagione del Compromesso storico e quella dello strappo del PCI dall’Unione Sovietica, che Giovanni, grazie anche alla sua origine socialista, condivise sempre senza tentennamenti, come quella ancora più complessa del passaggio dal PCI al PDS.



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