di Matteo Zallocco
Inalazioni da solvente. E’ questa la perizia medica sulla morte della bambina di 11 anni, trovata in un casolare in campagna in via Sarrocciano, tra San Claudio di Corridonia e Trodica. Ieri sera, verso le 19, è arrivato l’allarme al 118 quando il conducente di un furgone ha avvertito i sanitari dopo aver visto sul ciglio della strada i genitori della bambina (A.K. le sue inizialli) gridare aiuto.
Secondo i carabinieri, ancora sul posto questo pomeriggio, resta ancora il mistero su dove si sia consumata la tragedia. L’uso dei solventi, infatti, non può che far pensare ad un laboratorio clandestino di scarpe. L’abitazione, dove la famiglia cinese era regolarmente residente, è posta sotto sequestro dall’autorità giudiziaria.
Non è da escludere l’ipotesi che la bambina stesse lavorando proprio in quel casolare visto che, sul retro, in una vecchia stalla, ci sono ancora vecchi macchinari per lavorare le scarpe oltre a diversi materassi.
“Vedevo la bambina prendere il pullmino per andare a scuola tutte le mattine”, ci dice comunque il gestore del negozio di materiale pirotecnico, che si trova al piano terra dello stesso casolare.
Sono stati trovati segni di bruciatura nelle mani della bambina e per questo inizialmente la causa della morte sembrava essere la folgorazione. “Ma la perizia medica è chiara, inalazione da solventi – spiegano gli stessi Carabinieri -.E’ la prima volta che si trova un cadavere di un cinese. Noi non abbiamo mai visto un certificato di morte. Ma dopo una tragedia come questa i genitori non potevano non chiedere aiuto”. L’autopsia verrà eseguita domani mattina all’Ospedale di Macerata.
Resta comunque l’ombra dello sfruttamento del lavoro minorile nella piega più generale del mercato nero in cui sono coinvolti molti cinesi. Anche nelle nostre zone. E per questo proseguono le indagini.
(Foto di Guido Picchio, vietata la riproduzione)
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Se davvero si tratta di un laboratorio clandestino di scarpe sarebbe interessante se il vostro giornale facesse un’inchiesta su quali imprenditori calzaturieri della zona abbiano commissionato “in nero” il lavoro a questi cinesi. E’ chiaro che come a Prato per il tessile, a Forlì per i divani, anche nella nostra zona siamo allo sfruttamento di forza lavoro clandestina per il settore della calzatura. Ed è la conferma che il modello imprenditoriale-familiare marchigiano è in netta crisi, vista la crescente disoccupazione nel settore degli addetti alla calzatura “regolari”. Rivelare i nomi di chi sfrutta questo sistema sarebbe però un segnale nei confronti di chi ritiene tutto ciò come un “destino ineluttabile”. E anche le istituzioni locali, provincia in primis, dovrebbero mandare segnali in merito.
per scoprire chi dà il lavoro a questi tomaifici, non c’è bisogno di fare grandi inchieste: basta aprire l’elenco del telefono
E’ ora che escano fuori i nomi